Crisi finanziaria, l’euro non basta a difenderci

Alberto Bagnai 26 Febbraio 2010

La crisi finanziaria che sta colpendo i paesi mediterranei dell’area euro, Italia esclusa, impone qualche riflessione. Ne proponiamo due: l’euro da solo non basta a proteggere dalle crisi; il debito pubblico non può essere la principale causa di quanto sta accadendo: quello italiano è il più grande dell’eurozona, ma l’Italia non è colpita dalla crisi. Secondo il trattato di Maastricht il rapporto debito pubblico/Pil di un paese dell’eurozona deve essere inferiore al 60% del Pil. Nel primo decennio dall’introduzione dell’euro questo rapporto è stato in media del 106% in Italia, del 96% in Grecia, del 59% in Portogallo e del 45% in Spagna. In Grecia e Spagna dal 2001 esso è costantemente diminuito. I governi di questi paesi sono stati relativamente “virtuosi”.

Perché allora loro sono nei guai, e noi no? Perché negli ultimi anni il loro sviluppo, a differenza del nostro, è stato finanziato con un massiccio ricorso a capitali esteri. Il settore pubblico, e soprattutto quello privato, di Grecia, Portogallo e Spagna si sono pesantemente indebitati con il resto del mondo, che ora, allarmato dalla crisi mondiale, batte cassa. Questi paesi stanno vivendo una crisi di insostenibilità del debito estero, non di quello pubblico (che hanno meno di noi). Il debito pubblico italiano è finanziato dai cittadini italiani.

Le sue dimensioni preoccupano, ma in questa fase esso allarma poco i mercati finanziari internazionali, i quali a noi non stanno chiedendo il conto, come a Spagna, Grecia, ecc., per il semplice motivo che non hanno nessun conto da chiederci. Ai mercati interessa di più sapere se un paese è in grado di ripagare il debito contratto con essi (cioè il suo debito estero), che non quello contratto da un settore del paese (lo Stato) con un altro dello stesso paese (le famiglie). Una riflessione ovvia: ma allora perché non la si fa, e perché il trattato di Maastricht non ne tiene conto?

Partiamo dalla fine: non è vero che il trattato di Maastricht non tenga conto dell’indebitamento estero, anzi! L’articolo 3 A del trattato cita la sostenibilità del deficit estero fra i “principi direttivi” degli Stati membri, e l’articolo 109 J impone di considerare fra i criteri di “convergenza” anche l’indebitamento estero. Tuttavia, mentre sull’indebitamento pubblico è posto un vincolo preciso (non più del 3% del Pil), su quello estero non ne è posto alcuno. Qui agisce la lente dell’ideologia.

Contenere l’indebitamento pubblico significa contenere il ruolo dello Stato, ma contenere l’indebitamento estero significherebbe contenere il ruolo dei mercati. Se lo Stato è visto come un male, il Mercato è visto come un bene: il fatto che i capitali circolino da un paese all’altro viene visto come positivo di per sé e fino a prova contraria (prova che le crisi regolarmente danno). Da questo approccio ideologico deriva l’assenza di un parametro riferito alla sostenibilità del debito estero.

Perché prima dell’euro questi paesi non si indebitavano con l’estero? Perché i mercati non si fidavano e quindi convogliavano altrove il risparmio mondiale. Se non trovi un creditore non puoi indebitarti! Perché dopo l’euro il debito estero di questi paesi è esploso? Perché uno degli effetti perversi dell’euro è stato quello di regalare a questi paesi una credibilità immeritata. Abbagliati dalla raggiunta “eurocredibilità” di Spagna, Portogallo e Grecia, i mercati hanno cominciato a prestare loro più soldi di quanti essi ne potessero restituire. Perché questo non è successo all’Italia? Perché l’Italia non ha bisogno dei capitali esteri: le sue famiglie risparmiano.

Sintesi: senza un monitoraggio effettivo del debito estero, l’euro non solo non difende dalle crisi finanziarie, ma può addirittura causarle, nella misura in cui regala credibilità a paesi che non la meritano. Ormai tutti concordano sull’esigenza di riscrivere le regole di Maastricht. Nel farlo si dovrà considerare un concetto di sostenibilità finanziaria più ampio, che tenga conto del debito estero e non sia ottusamente e ideologicamente fissato sul solo debito pubblico.

Alberto Bagnai
Il Centro, 26 febbraio 2010

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