L’austerità blocca il risanamento e le riforme nei paesi del Sud

Alberto Bagnai 24 Aprile 2014

Il tema dell’euro è centrale nel dibattito sulle europee. Prima di valutarne il ruolo va fatta una premessa: in democrazia ognuno ha diritto di esprimere le proprie opinioni, per quanto disinformate siano. Tuttavia, esprimersi superficialmente durante una catastrofe economica della portata di quella attuale equivale a farlo durante un’epidemia, durante un incidente nucleare, insomma, durante un evento nel quale chi non coopera al prevalere della razionalità si assume responsabilità gravi.

Purtroppo, questo è esattamente quello che sta accadendo in Italia: commentatori “autorevoli” snocciolano una litania di argomenti che si rivolgono alla pancia, anziché alla testa, delle persone. Una scelta antidemocratica, perché condiziona subdolamente gli elettori e rischia di propugnare scelte che possono condurci a esiti nazionalisti e autoritari.

Il primo di questi argomenti “di pancia” è quello secondo cui opporsi all’euro è opporsi all’Europa, volere un mondo chiuso, nazionalistico, ottocentesco. Ora, tutti ricordiamo che prima dell’euro si viaggiava quanto e più di adesso, e del resto anche oggi si viaggia in paesi che non hanno l’euro. Tutti sappiamo che sono nel Mercato Unico paesi che non sono nell’euro, come il Regno Unito o la Danimarca. Il 12 aprile Frits Bolkestein, artefice del Mercato Unico, è venuto a Roma a dire che “l’unione monetaria ha fallito” e che i tentativi di mantenerla in vita compromettono la pacifica convivenza europea (il filmato su asimmetrie.org). Gli espertoni qualche domanda dovrebbero farsela, considerando che le stesse cose erano state dette nel 1971 da Kaldor (Cambridge), e nel 1997 da Feldstein (Harvard), come Alesina e Giavazzi ricordavano sul Corriere del 9 febbraio scorso.

Identificare una cosa giusta (l’integrazione europea) con un esperimento fallito (l’euro) rischia di condurre i popoli europei a gettare il bambino dell’Europa con l’acqua sporca dell’euro. Ma questa responsabilità ricade su chi disinforma, non su chi informa.

Un esempio? Guido Maria Brera, secondo il quale per competere col Bangladesh abbiamo bisogno della valuta forte. Insomma: siccome in altri paesi il lavoro costa di meno, noi, per diventare competitivi, dovremmo dotarci di una valuta sopravvalutata, cioè di una valuta che a detta dello stesso Prodi rende troppo costosi i nostri beni, affossando il Made in Italy («Mattino di Padova» del 20 gennaio). Bella logica!

Un altro esempio? L’argomento criptofascista secondo il quale noi italiani non siamo in grado di governarci da soli, e quindi ci serve, se non un uomo forte, almeno il manganello di regole esterne, che ci costringano a fare i bravi: senza l’euro saremmo troppo spendaccioni. Un argomento che fa a pugni con la democrazia, con la logica, e con i fatti. Il record storico del rapporto debito pubblico/Pil lo toccheremo nel 2014, come risultato dell’austerità fatta per difendere l’euro. Questo è un fatto.

Ma poi, perché mai la moneta unica, che nasce per far circolare i capitali più facilmente, cioè per rendere più agevole il dare e prendere soldi in prestito, dovrebbe stimolare comportamenti virtuosi? Al contrario, rendendo più facile l’indebitamento, cioè il finanziamento degli squilibri, l’euro ha consentito ai paesi del Sud di rimandare le riforme. Un effetto perverso della distorsione del mercato dei cambi, previsto dai veri economisti. Categoria alla quale non appartengono i variopinti moralisti che inquinano il dibattito parlando alla pancia, anziché alla testa, delle persone.

Alberto Bagnai
Libero, 23 aprile 2014

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