MES: rischio di condizionalità differita?

Marco Dani 25 Marzo 2020

La notizia trapelata la scorsa settimana di un negoziato in corso tra il governo italiano e l’Unione europea riguardante l’accesso a misure di assistenza finanziaria nell’ambito del Meccanismo europeo di stabilità (MES) ha suscitato un acceso dibattito in merito all’effettiva possibilità di fruire di questa fonte di finanziamento in assenza di un impegno del governo italiano a completare un programma di riforme strutturali.

Numerosi sono i dati normativi che inducono a ritenere la condizionalità elemento imprescindibile del MES. Una “rigorosa condizionalità” è richiesta dall’art. 136(3) TFUE, la norma dei Trattati europei introdotta nel 2011 per autorizzare gli stati dell’Eurozona ad istituire il MES. Di “rigorosa condizionalità” (strict conditionality) si parla anche nel Trattato MES agli articoli 3 e 12(1) e anche la Corte di giustizia, nel dare il proprio placet al MES nel caso Pringle, molto ha insistito sulla conclusione di un programma di riforme strutturali coerente con gli obiettivi di politica economica dell’Unione quale quid pro quo per l’assistenza finanziaria. Proprio l’esistenza di misure di condizionalità ha permesso infatti alla Corte di reinterpretare la no-bail out clause (art. 125 TFUE) e di autorizzare gli stati membri a finanziare via MES lo stato richiedente. Al paragrafo 137 di quella sentenza si legge infatti:

L’articolo 125 TFUE … non vieta la concessione di un’assistenza finanziaria da parte di uno o più Stati membri ad uno Stato membro che resta responsabile dei propri impegni nei confronti dei suoi creditori purché le condizioni collegate a siffatta assistenza siano tali da stimolarlo all’attuazione di una politica di bilancio virtuosa.

Infine, che la condizionalità sia politicamente, oltre che giuridicamente, non aggirabile lo si è indotti a ritenere ricordando che, secondo il Tribunale costituzionale federale tedesco, ogni esborso del MES richiede l’approvazione del Bundestag.
A ben vedere, tuttavia, i sostenitori di un ricorso dell’Italia al MES non propongono di cancellare le misure di condizionalità. Consapevoli tanto dei vincoli appena illustrati quanto della loro improponibilità nel contesto emergenziale determinato dall’epidemia Covid 19, essi prefigurano un accesso all’assistenza finanziaria in presenza di una condizionalità molto limitata o addirittura simbolica.

Rispetto a questo diverso scenario, che parrebbe essere quello su cui attualmente si impegnano i negoziatori italiani, è opportuno richiamare alcuni ulteriori dati normativi che portano ad individuare il rischio di una condizionalità differita ad un momento successivo (per esempio quando il peggio dell’epidemia sarà alle nostre spalle).

A partire dal 2013 i Memoranda of Understanding (MoU) conclusi nell’ambito del MES devono essere incorporati all’interno del diritto dell’Unione europea. Lo prevede l’art. 7 del regolamento 472/2013 (uno dei due regolamenti che integrano il cosiddetto Two-Pack), dove si stabilisce che lo stato membro che riceve assistenza finanziaria dal MES predispone con la Commissione un progetto di programma di aggiustamento macroeconomico dal contenuto corrispondente al MoU. Il programma di aggiustamento macroeconomico è approvato dall’ECOFIN a maggioranza qualificata.

Nell’ipotesi di accesso al MES a condizionalità limitata, quindi, si procederebbe inizialmente all’approvazione di un programma di aggiustamento macroeconomico dal contenuto molto scarno. Non vi sono tuttavia garanzie che misure più incisive non possano essere introdotte unilateralmente in una fase successiva. Il diavolo, come si dice, è nei dettagli. Il paragrafo 5 dello stesso art. 7 prevede che:

La Commissione, d’intesa con la BCE e, se del caso, con l’FMI, esamina insieme allo Stato membro interessato le eventuali modifiche e gli aggiornamenti da apportare al programma di aggiustamento macroeconomico, al fine di tenere debitamente conto, tra l’altro, di ogni scostamento significativo tra le previsioni macroeconomiche e i dati effettivi, anche alla luce delle eventuali ripercussioni derivanti dal programma di aggiustamento macroeconomico, da ricadute negative e da shock macroeconomici e finanziari. Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, decide in merito alle modifiche da apportare a tale programma.

Uno Stato può quindi effettivamente fruire a condizioni minime dell’assistenza finanziaria del MES. Tuttavia, qualora si verifichi uno scostamento significativo dalle previsioni macroeconomiche iniziali (eventualità per nulla peregrina in un contesto altamente volatile come quello attuale), il Consiglio potrebbe apportare modifiche al programma originario anche in assenza del consenso dello stato debitore.

Il transito del MoU all’interno del diritto dell’Unione ha poi un’ulteriore conseguenza di notevole rilievo che attiene alle garanzie attivabili a tutela dei diritti fondamentali. Nel corso della precedente crisi economico-finanziaria, il controllo di costituzionalità sulle misure di aggiustamento strutturale prescritte nei MoU e attuate dai parlamenti nazionali era stato in larga misura effettuato dalle corti costituzionali. I MoU, infatti, non sono atti di diritto dell’Unione e, di conseguenza, la Corte di giustizia si è sempre dichiarata incompetente a giudicare su questioni riguardanti la compatibilità di questi atti con la Carta dei diritti fondamentali dell’UE.

Nel vuoto lasciato dal giudice comunitario, le corti costituzionali nazionali hanno sviluppato una ricca anche se non sempre univoca giurisprudenza che, in alcune occasioni, ha contribuito significativamente ad alleviare il rigore della condizionalità europea. Si è talvolta enfatizzata eccessivamente la portata di alcune sentenze del Tribunale costituzionale portoghese o della Corte costituzionale italiana, ma va riconosciuto che in una serie di casi è stato proprio l’intervento dei giudici costituzionali ad imporre importanti correzioni di rotta nei percorsi di aggiustamento strutturale imboccati dai governi nazionali (si ricordi, per esempio, la questione del blocco dell’indicizzazione delle pensioni italiane).

Non si può dare per scontato, tuttavia, che interventi di questo tipo siano ancora possibili successivamente all’approvazione di un programma di aggiustamento macroeconomico. Una volta infatti che le condizioni stabilite nel MoU diventano diritto dell’Unione, la loro interpretazione e la loro validità diventa questione rientrante nella giurisdizione della Corte di giustizia. Non è chiaro invece, e probabilmente dipenderà dal grado di prescrittività delle eventuali misure di condizionalità, se le corti costituzionali potranno continuare ad intervenire sulle leggi nazionali di attuazione dei programmi di aggiustamento macroeconomico. Qualora le corti costituzionali dovessero risultare completamente emarginate dal controllo di legittimità costituzionale di queste misure a vantaggio della Corte di giustizia ci sarebbe ben poco di cui gioire: nei pochi casi riguardanti misure di aggiustamento strutturale approdati di fronte al giudice di Lussemburgo (Ledra, Florescu), i criteri di giudizio utilizzati si sono rivelati particolarmente deferenti, lasciando indenni misure con un impatto incisivo sui diritti economici e sociali.

Insomma, l’accesso a misure di assistenza finanziaria nell’ambito del MES appare particolarmente rischioso non solo per le sue implicazioni di ordine politico ed economico, ma anche per il suo probabile impatto sui principi costituzionali. Per quanto si possano comprendere le drammatiche difficoltà a cui il governo è quotidianamente esposto, lascia interdetti l’idea che sia in corso un negoziato nella sostanziale sospensione della dialettica e del controllo parlamentare.

ADDENDUM DEL 25 APRILE 2020: In seguito alle decisioni dell’Eurogruppo del 7-9 Aprile, nella sostanza confermate dal Consiglio Europeo del 23 Aprile, corre l’obbligo di una precisazione in merito al contenuto dell’articolo, scritto in data anteriore alle conclusioni dell’Eurogruppo. Le conclusioni dell’Eurogruppo hanno previsto l’attivazione di un “Pandemic Crisis Support” nell’ambito della linea di credito precauzionale ECCL del MES; la condizionalità richiesta riguarderebbe il solo vincolo di destinazione alle spese sanitarie dirette e indirette. A differenza di quanto riportato nell’articolo, un’eventuale assistenza finanziaria non sarebbe immediatamente sottoposta ad un programma di aggiustamento macroeconomico (l’art. 7(12) esclude infatti l’applicazione dei piani di aggiustamento macroeconomico all’assistenza finanziaria di tipo precauzionale). Ad essere applicato sarebbe invece l’art. 3 del reg. 427/13, che prevede la sorveglianza rafforzata nei confronti degli stati che beneficiano di assistenza finanziaria di tipo precauzionale (cfr. anche l’art. 2(3)). Anche questo diverso regime, tuttavia, può sfociare nell’applicazione di una condizionalità differita più incisiva. L’art. 3(7) prevede infatti che il Consiglio, qualora si rendano necessarie “ulteriori misure” in ragione della situazione economica e finanziaria complessiva dello stato membro, possa raccomandare a maggioranza qualificata l’adozione di un programma di aggiustamento macroeconomico. Di conseguenza, sia nell’ambito della sorveglianza rafforzata sia nell’ambito dell’eventuale programma di aggiustamento macroeconomico lo stato beneficiario può vedersi modificate le condizioni del prestito a prescindere dalla propria volontà. Questo il diritto vigente: nessun automatismo, ma forte probabilità, a burrasca finita, di uno o più diktat (come del resto già è accaduto agli stati che in passato hanno ricevuto assistenza finanziaria dal MES). Per completezza, va infine aggiunto che allo stato attuale non sappiamo se siano state negoziate modifiche al reg. 472/2013 in relazione alla nuova linea di credito (la modifica richiederebbe l’approvazione del Parlamento europeo e del Consiglio a maggioranza qualificata, art. 121(6) TFUE). Sarebbe interessante che la proposta di un congelamento delle norme citate venisse avanzata; ci si potrebbe fare un’idea delle intenzioni degli interlocutori in merito alla reale consistenza della condizionalità del Pandemic Crisis Support.

Marco Dani è Professore di Diritto pubblico comparato presso la Facoltà di Giurisprudenza, Università di Trento

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